Ennio Abate Intervento della luna sulle poesie alla medesima ispirate

15 Set

Ennio Abate

Intervento della luna sulle poesie alla medesima ispirate 

leopardi di tullio pericoli

Leopardi di Tullio Pericoli

I
Rispondo a quel pirla che s’è chiesto: Ma la luna vuol parlare con noi?
E al critico che ha proposto a ‘sta banda di sciammannati
di tornare a parlare con me.

Sì, che voglio parlare. Ma di voi, omini miei, poetucci miei.
Per dirvi basta con ‘sto pigolio: oh, luna, oh, luna!
E che non son io, miei menestrelli, mie diarree di sentimentini mielosi,
a suggerirvelo.

Io sono il maledetto pipistrello tondo,
immobile e bianco, caricato nei secoli di vostri deliri
e viltà, dei vostri serali spasmi cagasotto,
di incensi e lussuriette tinteggiate di spleen.

E inchiodata quassù, vostra guardiana condannata ai turni,
or di una parte or dell’altra delle vostre notti
sento tutto ‘st’orrore che, incapaci, costruite perenne.

II

«Io abito la luna»…
Ma chi è ‘sta sfacciata che dice una cosa simile?
Da quando è venuta in casa mia ad abitarla?
E a chi paga l’affitto?

Eh, no, cara e cari miei, manco ai veri matti che lo meriterebbero
permetto d’abitare con me!
Che mi parlino o straparlino pure e a lungo,
mi dedichino poesie e poesiole;
e che, appena spunto in cielo, i più accaniti continuino
a leccarmi, a corteggiarmi,
a farmi le fusa come gatti in calore.
Ci sono abituata. Non mi sento di scacciarli. Li tollero.

Ma che siano veri e non falsi. Che mi vogliano bene.
Come me ne volle l’intelligente gobbetto prim’Ottocento.
Che mi parlava, fingendosi pastore, e mi amava.
Alla giusta distanza. Saggio, solitario, non gli veniva
in mente di coabitare con me, ma soltanto sognava di portarmi per mano,
mi chiamava – decrepita ero, oddio! – giovinetta immortale.
E con lui me ne stavo quieta, in silenzio.
In silenzio.

III

E non lo sapeva lui, no, quanti stronzi e stronze
sarebbero venuti dopo a sedurmi, a strapazzarmi,
a contarmi i loro incubi, gli affanni, le voglie,
a divinizzarmi (ah, quel D’Annunzio!),
a farsi belli e bellocce di me.

Tutti con la fissa che, mio prediletto confidente,
Giacomo fosse, per ciò, divenuto gran poeta.
E pure loro volevano provarci, farsi suggerire
da me, la luna, il verso giusto, ottenere da me
un ritmo lunare, che piacesse persino al critico solare
per fare yin e yang con lui, e raggiungere la fama,
la premiazione,
mediante una mia illuminazione.

IV

Ah, i poeti, i poeti! Sempre storditi m’hanno guardata.
Cercavano e non sapevano. (Non volevano sapere!)
Cascavano le loro menti come pere cotte nel dolore
o nella finzione d’un bel dolore.
E credevano, credevano in me, e chissà nella Poesia
e chissà in Dio, e chissà in che.

Ma era la loro anima fredda che si coccolavano
fingendo di parlare con me.
Era la parte oscura e silenziosa delle parole
che si lucidavano ammirando il mio pallore.

Io con le loro poesie non c’entro.
Di esse sono solo l’alone. E del sesso turgido di qualcuno.
O delle fantasie delle Bovary.
Sono solo l’alone che accompagna le vostre tante morti.

Eh, sì, vi conosco mascherine! Sono secoli che vi studio.
Di notte, sì, quando sono di turno. E lo stesso ritrovo
le tracce di quel che fate di giorno
sui vostri volti sfatti, nei modi di accucciare i vostri corpi nei letti.

Ho visto come vi amate e toccate al mio chiaro.
Come vi uccidete ho visto.
L’ultime occhiate del moribondo in ospedale ho visto.
E del condannato a morte. E quelle sperse dei prigionieri
sempre. E degli affaticati nelle fabbriche per turni
ben più duri dei miei.

V

Ho illuminato chissà quante armate crudeli avanzanti,
e flottiglie di bombardieri nel gelo dei cieli europei e giapponesi,
e corazzate sull’onde marine lucenti di me, e satelliti giocattoli,
e animali notturni in cerca di prede, e carovane di camion
e tetti, e cime innevate di monti.
Ed ho illuminato, ahimè, il cammino degli assassini,
gli sciami serali di folle all’uscita di teatri di cinema di stazioni,
il passeggio delle puttanelle di strada; e stanze, cessi, cucine,
i cimiteri silenziosi, le foreste atterrite e le vaste pianure,
dove la mia luce tutta si sdraia.

VI

E sorvegliandovi, purtroppo, mi sono riempita
delle vostre storie. Poche le belle, luride in abbondanza tante.
E sempre meno mi piace, all’alba, perdere di vista gli uni
e mettermi a sorvegliare gli altri
– gli uni, gli altri, finire un turno, cominciarne un altro,
e poi ancora – ripetizione o eternità.
E cogliere impercettibili o d’un tratto sconvolgenti
i vostri mutamenti – ora degli uni ora degli altri.
Sempre con morti, feriti, grida, strazi, òdii pronti
allo scatto omicida.
Vado dall’altro lato, vi dimentico. Torno e vi ritrovo.
Cambiano lentissimi i paesaggi. E quasi vorrei morire con loro
e con voi.
Non continuare l’incessante sorveglianza da notturnista.
Ma, ecco, ho finito il mio giro. Vi ho detto. Vi saluto e vado.

(agosto/settembre 2013)

 

federico la sala, La vera relazione secondo Francesco

15 Set

UESTIONE ANTROPOLOGICA, TEOLOGICA, E POLITICA: DONNE, UOMINI, E  “SACRA FAMIGLIA”.  QUALE FAMIGLIA – QUELLA DI GESU’ (Maria – e Giuseppe!!!) O QUELLA DI EDIPO (Giocasta – e Laio) E DI ELENA E COSTANTINO??!
LA VERA “RELAZIONE”  SECONDO FRANCESCO E BAGNASCO E L’UGUAGLIANZA DEGLI ESSERI UMANI  DINANZI  A DIO E DINANZI ALLA LEGGE. Una nota sul messaggio inviato dal Papa alla 47esima Settimana Sociale dei cattolici italiani aperta a Torino – con appunti

“Quando attraverso una decisione politica vengono giuridicamente equiparate forme di vita in se stesse differenti, come la relazione tra l’uomo e la donna e quella tra due persone dello stesso sesso, si misconosce la specificità della famiglia”: così il cardinale Angelo Bagnasco, nella sua prolusione alla Settimana dei Cattolici.

 

a c. di Federico La Sala

APPUNTI SUL TEMA:

ALLE RADICI DELLA BELLICOSA POLITICA DEL VATICANO. LA GUERRA NELLA TESTA DELLA GERARCHIA DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA E L’INDICAZIONE ’DIMENTICATA’ DI GIOVANNI PAOLO II.

COSTANTINO, SANT’ELENA, E NAPOLEONE. L’immaginario del cattolicesimo romano.

Papa Francesco risponde a Eugenio Scalfari e ai non credenti e rispiega la sua ratzingeriana “Lumen fidei”. Il testo della lettera – con note 

Art. 29 della Costituzione: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.

VIVA L’ITALIA. LA QUESTIONE “CATTOLICA” E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico. (fls)

_______________________________________

Papa Francesco: “Fecondità dalla differenza.
Matrimonio uomo-donna nella Costituzione”

 

Nel messaggio del Pontefice alla Settimana Sociale dei cattolici italiani, che si apre a Torino, la riaffermazione della famiglia espressione della “prima società naturale”, “scuola di generosità contro l’individualismo”, messa a rischio da “scelte di carattere culturale e politico”. Bagnasco: “No a fughe in avanti, resti salda la roccia della differenza sessuale” *

TORINO – “La Chiesa offre una concezione della famiglia, che è quella del Libro della Genesi, dell’unità nella differenza tra uomo e donna, e della sua fecondità. In questa realtà riconosciamo un bene per tutti, la prima società naturale, come recepito anche nella Costituzione della Repubblica Italiana”. E’ un passaggio del messaggio autografo inviato da Papa Francesco alla 47esima Settimana Sociale dei cattolici italiani, dal tema “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana”, aperta oggi pomeriggio a Torino dal presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco.

Tanto diverso dal predecessore Ratzinger nelle manifestazioni pubbliche del proprio Pontificato, Bergoglio resta invece all’interno del solco tracciato dalle Sacre Scritture nella considerazione del matrimonio, inteso come cellula primordiale della società, caratterizzata dall’obiettivo fondamentale della procreazione. Non lasciando alcuno spiraglio a qualsiasi ragionamento sul matrimonio omosessuale, legalizzato giorno dopo giorno in un numero sempre crescente di Paesi nel mondo. “Vogliamo riaffermare – sottolinea infatti il Pontefice – che la famiglia così intesa rimane il primo e principale soggetto costruttore della società e di un’economia a misura d’uomo, e come tale merita di essere fattivamente sostenuta”.

Come in precedenza Benedetto XVI si era scagliato contro la “rivoluzione antropologica” del “matrimonio per tutti”, anche Papa Francesco punta l’indice contro “le conseguenze, positive o negative, delle scelte di carattere culturale, anzitutto, e politico riguardanti la famiglia”. Conseguenze che “toccano i diversi ambiti della vita di una società e di un Paese: dal problema demografico, che è grave per tutto il continente europeo e in modo particolare per l’Italia, alle altre questioni relative al lavoro e all’economia in generale, alla crescita dei figli, fino a quelle che riguardano la stessa visione antropologica che è alla base della nostra civiltà”.

“La famiglia è scuola privilegiata di generosità, di condivisione, di responsabilità, scuola che educa a superare una certa mentalità individualistica che si è fatta strada nelle nostre società. Sostenere e promuovere le famiglie, valorizzandone il ruolo fondamentale e centrale, è operare per uno sviluppo equo e solidale”.

La famiglia, anche guscio protettivo, scrigno di tesori. “Un popolo che non si prende cura degli anziani e dei bambini e dei giovani non ha futuro, perché maltratta la memoria e la promessa – scrive il Papa -. Il futuro della società, e in concreto della società italiana, è radicato negli anziani e nei giovani: questi, perché hanno la forza e l’età per portare avanti la storia, quelli, perché sono la memoria viva”.

Ma Bergoglio invita a non “ignorare la sofferenza di tante famiglie, dovuta alla mancanza di lavoro, al problema della casa, alla impossibilità pratica di attuare liberamente le proprie scelte educative; la sofferenza dovuta anche ai conflitti interni alle famiglie stesse, ai fallimenti dell’esperienza coniugale e familiare, alla violenza che purtroppo si annida e fa danni anche all’interno delle nostre case”.

“A tutti dobbiamo – continua Bergoglio – e vogliamo essere particolarmente vicini, con rispetto e con vero senso di fraternità e di solidarietà. Vogliamo però soprattutto ricordare la testimonianza semplice, ma bella e coraggiosa di tantissime famiglie, che vivono l’esperienza del matrimonio e dell’essere genitori con gioia, illuminati e sostenuti dalla grazia del Signore, senza paura di affrontare anche i momenti della croce che, vissuta in unione con quella del Signore, non impedisce il cammino dell’amore, ma anzi può renderlo più forte e più completo”.

Infine, rivolgendosi ai protagonisti dell’evento torinese, Papa Francesco esprime l’auspicio che “questa Settimana Sociale possa contribuire in modo efficace a mettere in evidenza il legame che unisce il bene comune alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, al di là di pregiudizi e ideologie. Si tratta – conclude il Papa – di un debito di speranza che tutti hanno nei confronti del Paese, in modo particolare dei giovani, ai quali occorre offrire speranza per il futuro”.

Bagnasco: “No a fughe in avanti, salda roccia la differenza sessuale”. “Quando attraverso una decisione politica vengono giuridicamente equiparate forme di vita in se stesse differenti, come la relazione tra l’uomo e la donna e quella tra due persone dello stesso sesso, si misconosce la specificità della famiglia”: così il cardinale Angelo Bagnasco, nella sua prolusione alla Settimana dei Cattolici.

Occorre mantenere salda “la roccia della differenza sessuale” per evitare il rischio che “la famiglia resti imbrigliata in immagini stereotipate o in utopiche fughe in avanti” chiede il presidente della Cei, che definisce “fondamentale” l’impegno “per ritessere l’umano che rischia diversamente di essere polverizzato in un indistinto egualitarismo che cancella la differenza sessuale e quella generazionale, eliminando così la possibilità di essere padre e madre, figlio e figlia”.

“Volendo eliminare dalla dimensione sessuale le sovrastrutture socio-culturali espresse con la categoria di ’genere’, si è giunti – denuncia Bagnasco – a negare anche il dato di partenza: la persona nasce sessuata”. Di qui, secondo Bagnasco, l’obsolescenza della domanda che ha angosciato tante generazioni passate: “Che mondo lasceremo ai nostri figli?”, l’urgenza di un nuovo interrogativo: “A quali figli lasceremo il mondo?”.

“No omofobia, ma non criminalizzare chi sostiene matrimonio uomo-donna”.“Frequentemente ci si oppone alle ragionevoli considerazioni della Chiesa per motivi ideologici. Nei mesi scorsi, il dibattito sulla legge contro l’omofobia ha manifestato con chiarezza questa tendenza”, premette il cardinale Bagnasco. “Nessuno discute il crimine e l’odiosità della violenza contro ogni persona, qualunque ne sia il motivo” osserva il presidente della Cei, ribaltando poi la prospettiva: “Per lo stesso senso di civiltà, nessuno dovrebbe discriminare, né tanto meno poter incriminare in alcun modo, chi sostenga pubblicamente ad esempio che la famiglia è solo quella tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, o che la dimensione sessuata è un fatto di natura e non di cultura”.

Gaynet: anche famiglia gay è naturale. “Il Vaticano è in guerra? Il Papa parla di famiglia naturale nella Costituzione, ma pure quella gay è naturale”. E’ quanto afferma Franco Grillini,presidente di Gaynet Italia, commentando il messaggio di Papa Francesco.

Zan (Sel): diritti, Italia si affranchi da ingerenze vaticane. “Il cardinal Bagnasco è libero di essere contro i matrimoni gay, ma non si può più tollerare che la Chiesa e la Cei cerchino di orientare le scelte politiche italiane in tema di diritti”. Lo afferma Alessandro Zan, deputato di Sel ed esponente del movimento gay. “C’è una parte considerevole della politica italiana – aggiunge – che da sempre viene orientata dal volere delle gerarchie vaticane su questi temi e non è un caso che anche oggi Bagnasco renda esplicita la posizione della Cei sulla legge contro l’omofobia in discussione alla Camera. L’Italia ha urgente bisogno di affrancarsi dalle ingerenze vaticane”.

la Repubblica, 12 settembre 2013

Venerdì 13 Settembre,2013 Ore: 22:56

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/9/2013 08.23
Titolo:LA RELAZIONE E IL TUTORAGGIO DI PAOLO… E FRANCESCO
PAOLO DI TARSO, L’ASTUTO APOSTOLO DELLA GRAZIA (“CHARIS”) E DELL’ AMORE (“CHARITAS”), E LA NASCITA DEL CATTOLICESIMO-ROMANO! UNA NOTA 

di Federico La Sala * 

(…) non equivochiamo! Qui non siamo sulla via di Damasco, nel senso e nella direzione di Paolo di Tarso, del Papa, e della Gerarchia Cattolico-Romana: “[… ] noi non siamo più sotto un pedagogo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati: 3, 25-28). 
– Nella presa di distanza, nel porsi sopra tutti e tutte, e nell’arrogarsi il potere di tutoraggio da parte di Paolo, in questo passaggio dal noi siamo al voi siete, l’inizio di una storia di sterminate conseguenze, che ha toccato tutti e tutte. Il persecutore accanito dei cristiani, “conquistato da Gesù Cristo”, si pente – a modo suo – e si mette a “correre per conquistarlo” (Filippesi: 3, 12): come Platone (con tutto il carico di positivo e di negativo storico dell’operazione, come ho detto), afferra l’anima della vita evangelica degli apostoli, delle cristiane e dei cristiani, approfittando delle incertezze e dei tentennamenti di Pietro, si fa apostolo (la ‘donazione’ di Pietro) dei pagani e, da cittadino romano, la porta e consegna nelle mani di Roma. Nasce la Chiesa … dell’Impero Romano d’Occidente (la ‘donazione’ di Costantino). La persecuzione dei cristiani, prima e degli stessi ebrei dopo deve essere portata fino ai confini della terra e fino alla fine del mondo: tutti e tutte, nella polvere, nel deserto, sotto l’occhio del Paolo di Tarso che ha conquistato l’anima di Gesù Cristo, e la sventola contro il vento come segno della sua vittoria… Tutti e tutte sulla romana croce della morte. 

Egli, il vicario di Gesù Cristo, ha vinto: è Cristo stesso, è Dio, è il Dio del deserto… Un cristo-foro dell’imbroglio e della vergogna – con la ‘croce’ in pugno (e non piantata nella roccia del proprio cuore, come indicava Gesù) – comincia a portare la pace cattolico-romana nel mondo. Iniziano le Crociate e la Conquista. Il Dio lo vuole: tutti i popoli della Terra vanno portati nel gelo eterno – questo è il comando dei Papi e dei Concili, cioè delle massime espressioni dell’intelligenza astuta (quella del Dio di Ulisse e della vergine Atena, non del Dio di Giuseppe e di Maria) del Magistero della Chiesa, alle proprie forze armate… fino a Giovanni Paolo II, al suo cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e alla Commissione teologica internazionale, che ha preparato il documento “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato”. 

Uno spirito e un proposito lontano mille miglia, e mille anni prima di Cristo, da quello della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, istituita in Sudafrica nel 1995 da Nelson Mandela, per curare e guarire le ferite del suo popolo. Il motto della Commissione bello, coraggioso, e significativo è stato ed è: “Guariamo la nostra terra”! 

Si cfr.: Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide, Ripostes, Roma-Salerno 2001, pp.23-25.

Armando Todesco, Un governo di tecnici-imprenditori

15 Set

Un governo di tecnici -imprenditori  

 

Il livello dei ministri dell’attuale governo e’ sotto gli occhi di tutti e i sondaggi  ce lo dicono .

Un governo debole  dove prevalgono la parole d’ordine  della spostare  in avanti la risoluzione dei problemi ,rinviare ,fare credere che si sta facendo  mentre si fa con calma assoluta .

Abbiamo a che fare con dei ministri che prima di essere eletti sembravano che  facessero la rivoluzione ma che poi lasciano a desiderare  .

Un ministro dell’economia che non si fa vedere .

Ormai solo la televisione  e’ il vettore che viene utilizzato per esprimere opinioni ,ma mai le sezioni di partito o gli incontri con gli elettori .

La distanza della politica dalla vita concreta  della gente e’ abissale e di gravita’ inaudita  e sara’ difficile ricomporla .

Ci vorranno anni e decenni  per sistemare  ,se mai sara’ possibile, questo spazio ,

Bisognera’ mandare a casa tutti ,ma quando e come?

Ma guardiamo l’Italia e il suo futuro .

Dal governo di B. a quello di Monti ,a questo pseudo-governo  e forse a quello futuro del salvatore della patria  con sede a Firenze  siamo di fronte a troppi flop e  a troppi fallimenti .A troppe speranze  deluse .

Perche’  allora non mettere al governo uno che almeno abbia fatto qualcosa  prima di diventare presidente ?

Mettiamo un presidente che almeno abbia un libretto di lavoro , non gente fatta in laboratorio che nessuno vuole vedere  ,sentire e a cui nessuno crede .

Quindi io sarei per un governo di tecnici ma non tecnici  della politica cioe’ non  presi dagli scranni del parlamento o dalle zone dei burocrati ,ma dall’esterno  come ad esempio  dagli imprenditori  che oggi vivono e portano aventi aziende con difficolta’ crescenti

Tutto questo solo per un periodo di tempo per portare il paese  a una condizione di normalita’ come  gli altri paesi , come gli Stati uniti dove i presidenti non vengono coccolati ma si guadagnano da vivere dalla puberta’ .

Obama ,Reagan  sono esempi di gente che lavorava e che lavorando e’ diventato  importante .

Abbandoniamo i politici di professione  e proviamoci anche noi .

 

 

Armando Todesco

.

 

 

 

Elton John, Home again

15 Set

 

http://nutopia2sergiofalcone.blogspot.it/2013/09/elton-john-home-again.html

iL PAESAGGIO AL MERCATO, DAGLI ULIVI AGLI SCOGLI

15 Set
RA, IL BRILLANTE COLORE, E …

IL PAESAGGIO AL MERCATO. Dagli ulivi agli scogli l’ultimo business dei ladri. Una nota di Giuliano Foschini, con commento di Carlo Petrini

Un pezzo di paesaggio pugliese in una villa in Brianza: l’ulivo secolare, il muretto a secco, il trullo. La scogliera sarda in una piscina sul litorale romano. Un casale umbro in Veneto, la terra rossa della Valle d’Itria all’Argentario.

venerdì 13 settembre 2013.

 
Nella stessa rubrica

Dagli ulivi agli scogli l’ultimo business dei ladri di paesaggio

La merce va al nord: centomila euro per ricostruire un’intera zona

di Giuliano Foschini (la Repubblica, 13 settembre 2013)

Un pezzo di paesaggio pugliese in una villa in Brianza: l’ulivo secolare, il muretto a secco, il trullo. La scogliera sarda in una piscina sul litorale romano. Un casale umbro in Veneto, la terra rossa della Valle d’Itria all’Argentario. In Italia esiste un mercato assai particolare in grado di annullare la geografia, alterare l’ambiente e molto spesso consegnarsi al kitsch: è il mercato dei ladri di paesaggio. Sono contadini, vivaisti, architetti di esterni che si offrono di prendere un pezzo di un territorio e di riproporlo uguale e identico in qualsiasi parte d’Italia, anche a migliaia di chilometri di distanza.


Non lo fanno per bellezza, ma per denaro. Tanto: un albero secolare può costare anche diecimila euro, compreso di espianto e reimpianto. Mentre per ricostruire una zona si arriva a centomila euro.
La regione che più delle altre viene saccheggiata è la Puglia, che ha nel suo territorio agricolo specificità chiare, a tratti uniche: gli ulivi secolari, per l’appunto.

Ma anche la terra rossa nella quale crescono, i muretti a secco e addirittura i trulli. Ci sono vivai che vendono pacchetti interi mentre basta fare un giro su Internet per comprare un ulivo secolare. I prezzi variano dai mille ai cinquemila euro (compresi di trasporto e impianto), per realizzare un trullo non si va sotto i ventimila a cono mentre i muretti a secco, con pietre originali, non costano meno di 300 euro a metro quadrato.

«Il mercato è florido, da quanto ci risulta le richieste sono molto alte» spiegano le forze di polizia che da anni hanno dichiarato guerra a questi predoni. Soltanto quest’anno ci sono stati un centinaio di sequestri: l’ultimo, effettuato dalla Finanza, è di sabato scorso quando su un camion sono stati trovati tre ulivi appena spiantati pronti a partire per un vivaio del Nord.


«Il vero problema – spiega il vice presidente nazionale di Legambiente, Edoardo Zanchini – è che non esistono leggi che tutelano un
bene importante come il paesaggio. Proprio la Puglia ha, col governo Vendola, varato una legge importante per tutelare gli ulivi secolari. Ma evidentemente c’è qualcosa che non funziona, visto che il mercato non si è mai fermato: proprio l’altro giorno, con Goletta Verde, eravamo all’Argentario e ci siamo accorti che improvvisamente era spuntato un enorme ulivo secolare».

Legambiente ha avviato una ricognizione per verificare i danni dei predoni del paesaggio. «È incredibile quello che è successo sulla costa dove è cambiata la morfologia: per creare spiagge laddove non ce n’erano, e creare accessi al mare dove esistono scogliere, sono state sbancate
dune, rubata spiaggia qui e là che ha cambiato proprio la linea della costa».


«Effettivamente questo è un fenomeno 
nuovo però dal nostro punto di vista molto affascinante» commenta Mauro Agnoletti, professore della facoltà di Agraria dell’Università di Firenze e coordinatore della commissione di paesaggio
agrario al ministero dell’Agricoltura. «Si sta riscoprendo l’importanza del paesaggio e non della singola pianta, ma dell’intero ambiente. Però il paesaggio va curato, restaurato ma non stravolto come sta accadendo anche perché non esistono catalogazioni e normative specifiche».

Il professore cita per esempio il caso di querce secolari «prenotate l’anno precedente e poi spiantate con i bulldozer e le gru per essere trasportate in ville private. Ma anche alberi di agrumi, magari caratteristici della Sicilia, che finiscono al Nord. Il problema è che deve esistere una differenza tra una pianta e un soprammobile


Salviamo quei tesori dagli sfregi estetici

di Carlo Petrini (la Repubblica, 13 settembre 2013)

MENTRE attraversavo il Salento non riuscivo a credere che per anni gli ulivi secolari e i muretti a secco che stavano rendendo il mio viaggio più piacevole fossero stati regolarmente estirpati dal territorio per finire in qualche spazio privato. Dopo anni di sciacallaggio del paesaggio (scusate la rima, ma questo è) ora in Salento ci sono controlli ferrei e i recenti arresti lo provano.

Godevo di quegli scorci, di alberi che sono meglio di un’opera d’arte, di muretti che esprimono la cultura contadina meglio di qualsiasi parola, al pari di tanti buoni prodotti. Provavo a immedesimarmi nel ladro di paesaggio, o nel “mandante”: complici in un’azione criminale e responsabili di un’aberrazione estetica doppia. Data dal depauperamento del paesaggio, ma anche dall’idea triste, da 
parvenu
 ignorante, di poter mettere quei tesori altrove, fuori dal proprio contesto territoriale come in un giardino di una villetta.


Mi dicevano che durante il boom di questo nefasto commercio gli ulivi venivano venduti per un paio di centinaia di euro. Ora divieti e controlli avranno fatto lievitare i prezzi sui mercati clandestini, ma quelle cifre comunicano perfettamente la bassezza di ladri e acquirenti: vengono i brividi solo al pensiero di dover quantificare in denaro il valore inestimabile di un ulivo cresciuto poderoso e produttivo, avvoltosi su se stesso in infinite forme per cento anni, sotto il sole cocente, battuto dal vento.


Quell’ulivo è del proprietario della terra, certo, ma la combinazione esatta di quell’ulivo su quella terra sono un bene comune per chi ci si può perdere con gli occhi e con l’immaginazione. Sradicarlo e venderlo significa privatizzare un bene di tutti.

Ed è una zappa sui piedi clamorosa per chi abita questa terra magica, oggi meta turistica molto popolare, ma che senza ulivi secolari e muretti a secco perderebbe identità riempiendo così di deserto gli spazi tra spiagge iperaffollate e svuotando di contenuti quella cosa che ci pregiamo di chiamare territorio. Vale per il Salento ma vale per ogni angolo di questa Nazione ancora bellissima: una “grande bellezza” (per dirla come il regista) più di tutto e nonostante tutto, che non merita ulteriori scempi.

 

 

  • > IL PAESAGGIO AL MERCATO. —- La terra uccisa dalla monnezza (di Enrico Fierro)

    14 settembre 2013, di Federico La Sala

    La terra uccisa dalla monnezza

    di Enrico Fierro (Il Fatto Quotidiano, 13 settembre 2013)

    Se volete vedere, annusare, toccare con mano il più grande disastro ambientale della storia d’Italia dovete venire qui, a Giugliano, Napoli, Campania, terra di camorre, malapolitica e veleni. La gente ieri si passava di mano in mano la prima pagina de Il Mattino che ha pubblicato i risultati di una indagine dell’Istituto superiore di sanità. Tutti l’hanno letta, ma nessuno si è meravigliato. “Sappiamo da anni che il nostro destino è di morire avvelenati. Ci ha ucciso la camorra con il traffico della monnezza, i politici che prendevano i voti, ma anche lo Stato che ha trasformato questa nostra terra in una enorme Monnezza Valley”. Nino è ai cancelli della Resit, una delle discariche della vergogna, il regno dell’avvocato Cipriano Chianese, colletto bianco dei casalesi. Lì sotto c’è di tutto. “È peggio dell’Aids”, disse il pm dell’Antimafia di Napoli, Alessandro Milita, davanti ai parlamentari della commissione d’inchiesta sui rifiuti. Alle tre del pomeriggio davanti alla Resit ci sono ambientalisti, normali cittadini e preti come don Maurizio Patriciello, che da anni si batte contro camorra e monnezza e che tre giorni fa si è inginocchiato davanti al Papa. “Vai avanti così”, gli ha detto il Pontefice. E lui va avanti con questa umanità che non vuole crepare nella “terra dei fuochi”. L’analisi dell’Istituto superiore di Sanità è terribile. Tutta l’area che va da Giugliano a Villaricca fino al litorale Domiziano è inquinata, ma c’è una zona rossa dove ormai l’avvelenamento di suoli e acque ha raggiunto livelli di irrecuperabilità.

    Terre morte. Per sempre. Duecentoventi ettari gravidi di veleni, un livello di inquinamento che si estende alle falde acquifere per 2 mila ettari. Qualcosa come 2600 campi da calcio. Questa una volta era Campania felix, qui si facevano tre raccolti l’anno di ortaggi pregiati e frutta ottima. Da decenni il paesaggio è mutato, ora accanto ai campi ci sono le discariche. Una ogni mille abitanti, 40 in un solo chilometro quadrato, 15 milioni di rifiuti solidi urbani interrati. I casalesi e i loro referenti politici si sono arricchiti col business della monnezza. Nella Resit del colletto bianco avvocato Chianese (ottimi rapporti col padrone del Pdl casertano Nicola Cosentino) hanno interrato i veleni dell’Acna di Cengio. “Duecentomila tonnellate di sostanze tossiche – ha rivelato da pentito l’ex trafficante di rifiuti Gaetano Vassallo – ci furono pagate 10 lire al chilo”. Di cosa si trattava? Quale morbo è stato iniettato nel ventre di questa terra disgraziata? Vassallo e i suoi amici casalesi non se ne curavano. “Quella roba friggeva, era così potente che squagliava anche le bottiglie di plastica nel terreno”.

    Mario De Biase, commissario di governo in Campania per le bonifiche, è terribilmente esplicito. “La bonifica è impossibile. Se qualcuno pensa che in quei terreni si possa ricreare l’ambiente bucolico di cent’anni fa sbaglia e di grosso. Ci vorrebbero i soldi di una finanziaria intera. E poi come si fa a scavare e riportare alla luce acidi, veleni, percolato inquinato. Dove li smaltiamo?”. E allora? “Allora il mio compito è quello di mettere in sicurezza quell’area. C’è già un progetto, i soldi, 6 milioni e mezzo, le gare partiranno presto. La falda è inquinata ma si tratta di vedere il tipo di inquinamento, e poi deve essere chiaro che in tutta quella zona attorno alla Resit e alle altre discariche, si devono espiantare le coltivazioni di frutta e piantare alberi no-food. L’area deve essere isolata rispetto al resto”. Il commissario insiste, carte alla mano dimostra che “non c’è passaggio diretto di Cov (composti organici volatili, ndr) e frutta e ortaggi”, ma la gente non si fida più. A Giugliano basta andare a Taverna del Re per capire che hanno ragione.

    Qui, tra pescheti e campi coltivati a ortaggi, c’è il monumento alla più grande vergogna italiana: il deposito di ecoballe. Sei milioni di tonnellate di involucri che pesano una tonnellata ognuno, pieni di rifiuti. Sono lì da anni impilate in piramidi alte decine di metri, erano i cosiddetti rifiuti trattati destinati all’inceneritore di Acerra. Balle, menzogne raccontate ai cittadini della Campania da tutti, politici di destra e di sinistra, prefetti e alti commissari. In quei grossi sacchi c’è di tutto e non possono essere inceneriti se non vengono trattati nuovamente. Altri soldi, altri miliardi. E un altro inceneritore che la Regione Campania ha deciso di costruire qui, a Giugliano, nella Monnezza Valley. Era la Campania felix, una volta, prima che gli abusi edilizi divorassero la campagna, prima della monnezza, prima della camorra e dei sindaci compromessi con i boss. Ora, scrive la Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, “la catastrofe ambientale che è in atto costituisce un pericolo di portata storica, paragonabile soltanto alla peste settecentesca”.

     

Ennio Abate Ultimo dialogo tra il vecchio scriba e il giovane giardiniere (2002)

18 Lug

Ennio Abate

Ultimo dialogo tra il vecchio scriba e il giovane giardiniere (2002)

1978 IN RICORDO DI BABEL 1978 circa

Tabea Nineo 1978: IN RICORDO DI BABEL

Vecchio scriba –

I particolari del nostro incontro sui banchi di scuola o in fredde sagrestie del sud contano poco ora. E pure le ragioni del distacco. Il tempo che spendesti in mezzo a noi fu però di buona semina. Ti prendemmo sul serio. Ti demmo pensieri e sensi ordinati non solo divieti. Poi trasgredisti, ci odiasti e dovemmo precluderti i nostri cenacoli. Nulla nel loro corporeo conflitto con la Parola risolvono le rivolte affascinate dal disordine dell’infida parte di tutti noi che per sempre o a lungo resterà oscura. Da solo o con altri tu pure ne hai saggiato il grumo viscido. Esploralo quanto vuoi, se insoddisfatto dalle marmoree distanze delle nostre grammatiche e retoriche, ma non trascurare l’umano, cui in forma semplice mirò la nostra scrittura. Anche dopo il nostro naufragio non dimenticare i forzieri conservati nei nostri inabissati vascelli. Altri mondi sconvolti ti hanno attraversato e invaderanno. Ma scrivi sulle orme del nostro antico e logico disegno. Evidenziale, anneriscile, se hai solo il nero. Preziose sono anche le residue ombre.

1979 Fortini Da CONGEDO P.144 ridotta 1979

Tabea Nineo 1979: Fortini Da CONGEDO P.144

Giovane giardiniere –

Il mondo-presepe contadino si sconnetteva e carbonizzava in simboli oscuri già mentre m’allontanavo dal vostro giardino di parole. Del mondo moderno, dai vostri seminari non previsto o temuto, spiavo in pochi libri forme, sintassi e ritmi irregolari. Parevano più vicini ai moti del mio corpo, al mio respiro affannato dalle corse. Ne divenni ladro studioso e ingordo. Fatti adulto! Fatti artista! Fatti politico! Fatti pratico! – ingiunsero poi voci autorevoli da accademie, partiti e università al giovane magro e silenzioso in fuga, che solerte tutte le ascoltava e teneva a bada pensieri di bimbo ingabbiato, reliquie di preti e professori di liceo, languori e pene di periferia. Accumulai appunti di parole d’amore e livore, grafismi di fiabe e carnevali pezzenti. Ma se scrivo di te, di voi miei lontani o vicini maestri, intendo subito ora addentro alla carne delle vostre parole le punte di complicità col discorso d’ignoti nemici. Non sbagliai perciò ribellione quando ne addentai con sarcasmo certi suoni soavi e interrogai diffidente quelle sincopi improvvise, quei crescendo crepitanti di Valori. Quell’umano ideale e il vigore ambiguo della vostra stretta autorevole discendevano da materiali e potenti domìni, da timori quanto e più dei miei arcaici di fronte ai Velati della Parola cortigiana e solo in apparenza clemente; e non dalle celesti Figure che predicavate. Sbagliai, invece, ad implorare ancora da voi e con ghigni da escluso la restituzione del tempo che pensai catturato e custodito nelle vostre sacrestie e biblioteche, nelle preghiere, nelle formule metriche apprese e che oggi vagamente ricordo. No, voi avevate giudicato trascurabile lo scarto tra il vostro educandato e le mie ansie predatorie, nessun ascolto deste alle memorie del dialetto o all’odio per la servitù subìta in nome dell’angelicata Fraternità che plasmaste. Il vero d’infanzia e gioventù lo ritrovai, assieme alle catene, negli anni della rivolta e poi della solitudine. Deperito ora lo shock del moderno, resisto senza la vostra antica Parola al mondo dell’Istante replicato in orride serie. Una più subdola e mondiale impostura viene impressa a sbalzo su noi tutti e ridimensiona pure il vostro potere di declassati signori di una volta. Sulle vostre orme e ombre ho scritto e a volte riapro i telematici forzieri dove seppelliscono, antiquaria mercanzia, la Parola e l’Uomo. Ma so che esse non sfamano i profughi e i migranti, che nella mente clandestina ho accolto. Né i pani e i pesci del vostro privilegiato convivio si moltiplicheranno per i molti reietti che incalzano. Altri immigratori ci attendono. Non comunità dialoganti. Dietro il simulacro dell’Uomo da voi indagato ben più ampio del prevedibile è l’orrore da pensare e scalzare.

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Carlo Rovelli, Nel paese dove gli asini volano

18 Lug

Carlo Rovelli, Nel paese dove gli asini volano

David Kellogg Lewis (1941-2011)

David Kellogg Lewis (1941-2011)

Straordinaria questa affermazione di David Lewis: «Tutti i mondi possibili esistono davvero», che mette in discussione tutti i nostri principi basati sulla autoevidenza del senso comune. Il concetto non è estraneo a quello dell’universo infinito di Giordano Bruno (e sappiamo come sia andata a finire), che prevedeva già questa ulteriore estrapolazione: dall’universo infinito alla possibilità di esistenza di tutti i mondi possibili. Molti concetti filosofici dell’homo tecnologicus, come quello di «essere» ed «esistenza», sono fortemente condizionati dalla loro origine teologica, ma fare filosofia è, appunto, sgombrare il campo dai sedimenti di pensieri teologici, dogmatici, indimostrabili da parte delle nostre facoltà razionali; pensare le «possibilità» è dunque un equivalente di pensare le «realtà». Pensare significa fare continuamente dei «salti» da un pensiero all’altro per poi trovarne le connessioni; le connessioni verranno dopo, non prima. Tutti i sistemi filosofici finora dispiegati dall’uomo cadono sotto quello che è stato chiamato il «paradosso dell’autoreferenza»: i modelli autoreferenziali includono il soggetto-osservatore nell’oggetto osservato, e sono posti come una piramide al cui vertice sta il soggetto-osservatore. Ma le cose non stanno così. Per il principio di «tutti i mondi possibili esistono davvero», il soggetto è semplicemente un trascurabilissimo evento del cosmo, e il fatto che lui osserva il mondo è una delle infinite possibilità con cui si dà l’evento. E la «freccia del tempo»?; ma, è ovvio, se io (quale soggetto-osservatore) mi pongo come un puntino o segmento (infinitesimale) della freccia del tempo, ecco che escogiterò che la freccia del tempo abbia una direzione precisa, dal prima al poi, dal passato al futuro passando per il presente. Ma questa asserzione, in realtà è una semplice credulità, non ha nulla di scientifico ed è priva di zoccolo filosofico: che cos’è il «presente»?, è un ente?, esiste?, non esiste?,. Nessun teologo e nessun filosofo ha mai risposto in modo esauriente a questa domanda, perché è una domanda priva di risposta se ce la poniamo entro le coordinate spazio-temporali e filosofiche della «freccia del tempo». Ecco che comprendiamo la famosa frase di Wittgenstein: «ciò cui si può arrivare con una scala non mi interessa» (Considerazioni filosofiche trad. italiana, Einaudi, 1975): il cui senso significa che non ha senso ascendere da un cumulo di proposizioni che, coma una piramide, dal basso partono verso l’alto e culminano con un assioma: è un tragitto autoreferenziale che ha una validità limitata al qui e ora. Siamo immersi tutti nella «dromomania», nell’ossessione della velocità che ci contagia con quella credenza nella velocità della freccia del tempo che è sempre davanti a noi, ed è irraggiungibile. Recentissimamente è stato postulato da alcuni fisici teorici l’esistenza, prima del Big Bang, di un altro universo, da cui deriverebbe il nostro universo che comprenderebbe 10 Dimensioni più il Tempo. C’è la dimostrazione matematica di ciò. Bene, un bel rebus per un filosofo che voglia pensare tutto ciò. E la poesia?, chiederanno alcuni: beh, è una delle infinite possibilità in cui può darsi il mondo, rispondo. [Giorgio Linguaglossa]

Nel Paese dove gli asini volano.

«Tutti i mondi possibili esistono davvero»: tesi che a un fisico (come l’autore di questo articolo) sembrava una bizzarria. E invece gli ha rivelato la figura di un grande filosofo

di Carlo Rovelli

da Il Sole 24 Ore – domenica 26 maggio 2013

Chi è David Lewis?». «È uno dei più grandi filosofi del secolo, forse il più grande». «Caspita, e cosa dice?». «Che tutti i mondi possibili esistono davvero». «Ma che significa, non ha senso, tu ci credi?». «No». Questa conversazione rasenta il surreale: come si fa a dire di qualcuno che è il più grande filosofo del secolo, e aggiungere che la sua tesi principale non è credibile? Eppure ho avuto questa conversazione un sorprendente numero di volte, mondi possibili, con un sorprendente numero di filosofi, anche molto eminenti, di svariati Paesi. Nel mondo un po’ rarefatto della filosofia analitica, David Lewis, filosofo americano che insegnava a Princeton ma molto vicino all’Australia, morto dodici anni fa, è oggi indicato da diversi colleghi come uno dei grandi filosofi contemporanei, se non il più grande (in un recente sondaggio online fra filosofi è stato votato fra i tre più influenti filosofi del XX secolo); anche se la sua tesi più nota, l’esistenza concreta di molti mondi, lascia perplessi i più.
Lewis era un personaggio simpatico. Nelle sue conferenze parlava di film di fantascienza e di viaggi nel tempo. I suoi articoli filosofici pullulano di asini che volano, gatti che perdono il pelo sul divano, marziani che sentono male, e simili entità. Aveva una barba irsuta e l’aria stralunata. Qualcosa di anticonvenzionale e scanzonato. Amava profondamente l’Australia, dove passava molti mesi all’anno. Ha scritto decine di articoli sui temi più diversi d’interesse per la filosofia analitica, e diversi libri di cui il più noto si ìntitola Sulla pluralità dei mondi, dove difende la sua tesi che tutti i mondi possibili esistono. Compresi quelli dove gli asini volano. Ma, direte voi subito, in questo mondo non ci sono asini che volano. E Lewis è perfettamente d’accordo: non ci sono asini che volano, in questo mondo. Ma in altri mondi, ci sono. Ci sono molti mondi dove gli asini volano. Tutti questi mondi, esistono. Esistono, dice Lewis, concretamente. Noi non vediamo asini che volano perché viviamo in un mondo dove gli asini non volano. Così come io ora dalla finestra vedo il mare di Marsiglia e non il Colosseo, non perché il Colosseo non esista, ma solo perché sono a Marsiglia e non a Roma. Così come esiste Roma, anche se io non sono lì, allo stesso modo esistono altri mondi, dove noi non ci siamo. E quali mondi esisterebbero? Tutti, risponde Lewis, con un sorriso disarmante.
Sconcertato dal sentir raccontare queste idee, l’anno scorso ho deciso di provare a leggere Lewis, anche se non sono un filosofo, e non dispongo degli strumenti per capire bene. Per primo ho cercato l’articolo sui viaggi nel tempo. Il mio mestiere è la fisica, e mi occupo proprio di spazio e tempo e delle loro buffe proprietà, quindi mi sentivo abbastanza forte da affrontare la lettura del filosofo su un terreno a me favorevole. Ho sempre pensato che quello che si legge di solito sull’impossibilità dei viaggi nel tempo sia terribilmente confuso e pasticciato, e a dire il vero ho forse cominciato a leggere l’articolo con il gusto un po’ cattivello di aspettare al varco il preteso grande filosofo, e coglierlo in fallo. Invece mi ha lasciato a bocca aperta. La chiarezza con cui discute la possibilità dei viaggi nel tempo è completa. L’articolo è limpido, inequivocabile. Mette ordine perfetto nella questione. Tutte le sciocchezze sull’impossibilità di tornare indietro nel tempo perché potremmo uccidere nostro nonno sono spazzate via con lucida semplicità.
Ho cominciato a intravedere perché in tanti sono abbagliati da David Lewis. Così mi sono immerso nella lettura di una intera raccolta di suoi articoli. Qualcuno, più tecnico, filosofico, mi ha annoiato, non l’ho capito. Ma molti sono folgoranti. Che cos’è esattamente un’entità? Per esempio un gatto che sta su un divano? Comprende o non comprende un pelo del gatto che si è mezzo staccato? Dove finisce esattamente il gatto? E via via, zigzagando fra problemi tecnici di logica modale e quelle domande che discutevamo da adolescenti e che in fondo non eravamo mai riusciti a risolvere. Su ogni questione l’argomentare di Lewis, anche se sempre con un sorriso sulle labbra, è convincente. Trova la soluzione là dove la soluzione sembrava impossibile. È intelligenza scintillante. In un discorso in memoria di Lewis, David Chalmers ha chiamato la limpidezza del sistema di Lewis una “fisica fondamentale” per la filosofia: non stupisce che piaccia ad un fisico teorico…
Armato di questa esperienza, mi sono sentito pronto per affrontare il libro principale, Sulla pluralità dei mondi. Non riuscirà a convincermi, pensavo fra me e me, che ci sono asini che volano. E invece, confesso con desolazione, temo che ci sia riuscito. Non provo certo a ripetere qui l’esercizio con voi in questo breve articolo. Non sono Lewis. Leggete il libro di Lewis, se ne siete curiosi. Certo, qualche dubbio mi rimane. In fondo mi chiedo ancora se quello di Lewis non sia solo un cambiare nome alle cose, chiamare “esistere” quello che altri chiamano “essere possibile” e chiamare “di questo mondo”, quello che altri chiamano “esistente”. Ma certo a me Lewis è riuscito a far cambiare molte idee su cosa significhi “esistere”. A togliermi, credo, molti pregiudizi riguardo al significato di questo verbo molto sdrucciolevole. Esiste un burattino a cui cresceva il naso quando diceva le bugie? Si certo, è Pinocchio! Allora Pinocchio esiste. No, non esiste! Ma hai appena detto che esiste…
Con Lewis la filosofia analitica è tornata prepotentemente a occuparsi di metafisica, terreno da cui si era tenuta a lungo a distanza di sicurezza. La lezione del positivismo logico, che aveva insistito si parlasse solo di cose definite in maniera sufficientemente chiara, e soprattutto di Wittgenstein, che aveva mostrato come molti problemi apparentemente profondi non siano che il risultato di uso maldestro del linguaggio, avevano lasciato un’impronta molto profonda su questo vasto territorio della filosofia, con il risultato che le domande intorno a cosa esiste e cosa non esiste erano tradizionalmente percepite con grande scetticismo in questi quartieri della filosofia. Tutt’ora, la parola “metafisica’” produce un cospicuo sollevarsi di sopracciglia in molti dipartimenti di filosofia nel mondo. Le cose sono cambiate solo un poco durante l’ultimo decennio, e Lewis stesso viene visto ancora con sospetto a questo riguardo. Ma certo vi è una parte della filosofia analitica che ha trovato il modo, con la nitidezza di pensiero che caratterizza questo modo di fare filosofia, e con gli strumenti propri di questo pensiero, di tornare a trattare questioni come chiedersi cosa esiste e cosa non esiste. Lewis, che ad Harvard è stato allievo di Willard Van Orman Quine, fra i massimi esponenti della filosofia analitica, ha contribuito non poco a riportare la metafisica al centro del discorso.
Non è certo l’unico contributo di David Lewis. Per citarne un altro fra i molti, la sua filosofia della mente, una versione dell’idea che identifica stati e processi mentali con stati e processi del cervello, e quindi nega l’esistenza di proprietà irreducibilmente non-fisiche, è una delle posizioni centrali nel dibattito odierno sulla filosofia della mente.
Michele Salimbeni, versatile intellettuale italiano che si è occupato di cinema, teatro e filosofia, sta scrivendo una articolata biografia del filosofo, di cui un primo breve stralcio è uscito sulla rivista di filosofia Klesis, che ha consacrato il numero di dicembre a David Lewis. La aspettiamo con interesse. E speriamo che il mondo dove molti la leggeranno, e verranno a contatto con questo sorprendente e originale filosofo che è stato David Lewis, sia proprio il mondo dove siamo capitati ad abitare.

*

David K. Lewis, On the Plurality of Worlds, Blackwell, Oxford, pagg. 276, $ 58,00 e $ 27,00 paperback

Luca Chiarei Poesie recenti

18 Lug

Luca Chiarei

Poesie recenti

maltempo-tempesta-di-vento-e-grandine

*
…allora come quando piove
si alza quel volume
degli odori stradali

nel loro silenzio attonito
lucido astrale

*

Lo senti il vuoto lunare
ora cieco e assoluto
ora in terra
ora nel modo che non lascia soli

che non fa pensare fino
al prossimo urlo di gente muta

come polvere della terra
quella sull’acqua che resta da bere

quella che stride tra denti essiccati
nell’ultimo giorno di guerra

*

…così è camminare in qualunque
Milano tra living luxury in parte
sul filociglia di rimmel stremato

e schienanera nell’altra
schiacciata
al filo di marmitta e manostesa

monossidi in trachea
e un grande smisurato iato
dove mettere i passi

*

Hai mai visto qualcuno morire
negli occhi veramente
sentire qualcuno lo scirocco
un mare ottuso confuso

e poi cercare una colpa un bisturi
scordato nella pancia

la politica
forse
un senso un ritmo che vaga

riesci ancora a vedere?

*

Non posso che stare
Di parte e di lato

Dentro le mani che non sanno
Quelle che sanno di ferro di grano
ruggine tra denti

Da quella parte aspettiamo
ciò che non fa sconti
un paese trainato
un vento di neve dal mare

*

Si può stare tutti i giorni
in piedi su un piede e la testa
nella mano con la fame
di vento che spinge a fondo

e piano ci lasci gente tra gente
che morde che sporca le mani
come neve nera
che hai dimenticato

*

Sono finiti i passi da comprare
dai mercati
né mondi avanzano né spazi

solo strisce di ghiaia epistassi
dei punti cardinali degli asfalti
in terra intagliati come acciaio

solo passi lenti a risalire
la ghiandola calda cera
che torna a galla e ti lascia solo
all’argine di labbra
a rimandare il tempo

*

E’ solo un fiume che passa stasera
e la sua ansia d’essere mare

è solo una voglia d’essere vento
e la pioggia un ombra che batte lenta

che si fa ansa argine e passo
passaggio smisurato trapassato
pulsazione nel fianco
un taglio che ancora fa male

*

Nella norma del fatto sfila
un mare normale curva che sale
tra ventre e quasi cuore
spacca lo sterno lo fa zero

si allaga nelle ore
la mediana dismisura del caso

*

La nebbia è un’eco sotto al sole
di quello che resta delle voci

di tagli tra le mani quasi sorrisi
in questo paese di gente che deriva

in un inverno che si ferma
nubi a galla sulla pelle del lago

*

non basta sapere dell’assenza
del vuoto, di quello che manca
di una luce in fondo alla stanza

non basta sapere che non basta

che il sangue diventi permafrost
passi sotto i segni della pelle
morda nel fianco gelo sui pori

15/7/2013

SINTESI DELL´INTERVENTO DI ROBERTO BISCARDINI

18 Lug
SINTESI DELL´INTERVENTO DI ROBERTO BISCARDINI – ROMA, 13 LUGLIO 2013 – ASSEMBLEA SOCIALISTA APERTA
 

Partito Socialista

Cari amici e cari compagni,
ringraziando tutti coloro che hanno partecipato all’assemblea a Roma del 13 luglio e tutti coloro che, in vari modi, hanno manifestato interesse e attenzione per questa iniziativa, vi allego la sintesi del mio intervento.

 

 

Assemblea Socialista aperta
Roma – 13 luglio 2013
Sintesi dell’intervento

 

 

Primo. Ringraziando tutti coloro che hanno raggiunto Roma da tutte le parti d’Italia e i tanti amici e compagni, iscritti e non iscritti al PSI, che ci hanno inviato messaggi di saluto. Pur con sensibilità diverse, ormai siamo uniti da un convincimento comune. Fuori e dentro dal PSI c’è un sentimento che si sintetizza in poche parole: “basta con il declino, basta con un partito che vivacchia senza prospettive e senza futuro, basta con le nostre divisioni”. Dopo vent’anni di Seconda repubblica in cui abbiamo fatto la resistenza tenendo acceso una piccola fiammella,  adesso dobbiamo dire “basta” e darci una nuova e più grande prospettiva.
Come abbiamo spiegato più volte, questa non è una riunione di corrente e men che meno una riunione della minoranza del PSI, ma una libera assemblea di socialisti per aprire una fase nuova, che deve coinvolgere il PSI ma non solo.
Tutti i socialisti devono poter trovare presto un nuovo punto di riferimento, un PSI diverso per una nuova iniziativa politica, una politica non per fare i reduci del passato,  ma i combattenti del futuro. Per la costruzione di un’iniziativa socialista più larga in cui il PSI potrà svolgere un ruolo fondamentale solo se saprà rinnovarsi. Una fase che dovrà crescere secondo il metodo della collegialità e  della partecipazione, senza personalismi e personificazioni. D’altra parte, una piccola forza com’è l’attuale PSI se vuole crescere deve avere una grande ambizione, è arrivato il tempo di rifiutare la logica della sopravvivenza e del vivere per passare dallo zero virgola (questo è il peso attuale) all’uno virgola. Questa è una prospettiva che non può più appassionare n essuno e non appassiona neppure me, perché un partito che si chiama socialista deve saper puntare in alto e quello che non si è fatto in molti anni può essere fatto in poco tempo. Certo non da soli possiamo da subito porci l’obiettivo di essere forza elettorale a due cifre, per avvicinarsi alle altre forze politiche europee ed avere un peso per essere interlocutori nella sinistra italiana.
Avere un obiettivo ambizioso significa definire un ruolo non subalterno e non marginale rispetto alle altre forze politiche. E costruire una nostra e autonoma linea politica significa mettere la questione delle alleanze al secondo posto, anzi è arrivato il momento di non confondere più, come è stato fatto in passato, la linea politica del movimento socialista con la discussioni del “con chi vado, con chi sto”. La storia del passato ci dimostra peraltro che, nonostante ci siamo alleati c on tutti, da Dini a Vendola, mai siamo migliorati e mai abbiamo portato a casa buoni risultati.
Riacquistiamo quindi prima di tutto un ruolo e uno spazio politico che dev’essere sia nazionale che locale. Entrambi i livelli devono vivere in sinergia e non, come oggi, che si è lasciato al livello locale tenere alta la bandiera e a livello nazionale si è messa invece la testa sotto la sabbia.
Quindi, occorre ritrovare una spinta vitale, che sia di rigenerazione di una nuova prospettiva. Una prospettiva che in questa fase non può che venire dal basso, contando su due fattori: ricostruire con un lavoro umile il rapporto, in giro per l’Italia, con sezioni, gruppi di compagni e militanti, non preoccupandoci di fare incontri anche ristretti, ma nello stesso tempo liquidare al vertice ogni nomenclatura, piccola o grande che sia e demandare, quando sarà il momento, solo ad un congresso assolutamente aperto, la scelta larga del gruppo dirigente del nuovo corso socialista.  
Secondo. Un piccolo partito può, in poco tempo e con urgenza, lasciarsi alle spalle e superare le difficoltà gravi in cui si è venuto a trovare e contemporaneamente  decidere di pensare in grande. Per questo non serve un congresso chiuso nelle piccole stanze del PSI. Se dobbiamo fare una mozione la faremo. Ma non è questa la strada migliore, la strada migliore è creare le condizioni per un congresso di rifondazione e di rigenerazione unitaria del socialismo italiano. Quindi, un congresso aperto, con regole nuove, che favorisca la partecipazione dei compagni iscritti, di quelli che abbiamo perso negli ultimi anni e di tutti coloro che possono arrivare perché accolgono il nostro appello e sentono aria nuova. Un congresso che, in una fase come questa, non si pu&ogra ve; accontentare né di pochi iscritti né di piccole mozioni, ma un congresso in cui linea politica e gruppo dirigente siano scelti con metodi larghi e non escludendo la partecipazione degli elettori. Un congresso che non inizia e non finisce, come ho detto prima, con nomenclature precostituite, ma un congresso da far crescere nel dibattito e nel confronto, anche duro, sulle prospettive e sul necessario rinnovamento.
Terzo. Per quanto riguarda il PSI, dobbiamo dire per prima cosa, con assoluta sincerità senza  anteporre posizioni personali, che è arrivato il momento di chiedere al Segretario di fare un passo indietro per il bene e per amore del partito. Oggi, Riccardo non è più in grado di garantire l’unità del partito, non è più il punto di riferimento di una solidarietà interna e di una fiducia che il partito gli ha affidato per lunghi anni. Oggi la sua presenza costituisce un ostacolo alla ripresa, alla costruzione di un soggetto unitario e avendo lui lavorato per anni, anche contro il nostro parere, più per un partito piccolo che non per una prospettiva larga non è più lui oggi che può garantire una nuova prospettiva del socialismo italiano. Nencini, nonostante tanti consigli e tanti suggerimenti, ha voluto un partito piccolo, ha chiuso le porte anziché aprirle, ha identificato il futuro del partito con l’acquisizione di qualche posto, di ministro o di sottosegretario, ma alla fine ha umiliato le aspettative di tanti socialisti,  dell’intero corpo vivo del PSI e persino della sua storia. Rinunciando a presentare la lista del PSI alle elezioni politiche, in una competizione elettorale del tutto sicura e persino senza rischi, è venuto mano ad un mandato implicito con la guida di un partito. Nella coalizione di centrosinistra potevamo partecipare autonomamente ed ottenere un risultato che ci avrebbe potuto garantire l’elezione di un gruppo di parlamentari maggiore di quello attuale. Un gruppo parlamentare che oggi potrebbe  contare sulla forza di essere in Parlamento con le proprie gambe. Ciò non è avvenuto e la campagna elettorale è stata gestita nel modo peggiore, sicché oggi non abbiamo più alcun ruolo. Siamo in Parlamento e non sappiamo se siamo in maggioranza o all’opposizione. Siamo spariti da qualsiasi comunicazione politica e non bastano certamente le trovate dello spontaneismo politico e dei gazebo, per coprire il vuoto di linea e l’isolamento nel quale ci siamo ficcati. Insomma, con gli ultimi mesi si è stravolto l’indirizzo politico che il partito aveva avuto da Montecatini e confermato a Perugia. Quell’indirizzo che ci aveva fatto lavorare per cinque duri anni in nome della prospettiva di ritrovare identità e autonomia e creare le condizi oni per un autorevole ritorno dei socialisti in Parlamento. Oggi il problema del Psi non è quello di un partito con troppe linee politiche, ma semmai di un partito che non ne ha nessuna. Si muove a zig-zag ma senza meta sicura.
Quarto. La fase che si apre oggi è quindi la fase della ricostruzione e della rinascita, che deve contare sulla capacità di metterci alla prova su questioni alte. In grado di rinvigorire i compagni e aggregarne di nuovi. Il primo scoglio che avremo davanti sarà la presentazione di una lista socialista alle europee. Una lista che dobbiamo prepararci subito a mettere in campo. Una lista non del PSI, non solo di socialisti come sommatoria di vecchie anime, non una lista della costituente socialista, ma una lista socialista che parla agli italiani. Una lista che proponga i programmi del socialismo italiano per partecipare, con una certa autorevolezza, al corso positivo del socialismo europeo. Da questo punto di vista non basta dire siamo socialisti europei, bisogna dimostrare prima di essere socialisti italiani, di contare qualcosa e poi saremo anche naturalmente i socialisti italiani del socialismo europeo.
Una lista nella quale dovremo mettere al centro tre grandi questioni che già abbiamo abbozzato nel seminario del 4 di maggio. La riforma di uno Stato, perché ci sia uno Stato che funzioni, perché ci sia uno Stato uguale per tutti, perché ci sia uno Stato onesto che non consenta, com’è stato detto qui da alcuni compagni, che la poca economia che c’è rischi di essere, in alcune aree del paese, economia criminale. La questione sociale e occupazionale del paese (la stessa questione sulla quale, più di cento anni fa, nacquero i socialisti). Ed infine la questione economica, per la quale bisogna dare risposte diverse da quelle che oggi sono prevalenti . La politica economica di un partito socialista non può essere la politica economica della destra italiana e della destra europea. Non basta dire quindi austerità e riduzione del debito  per qualificare una politica di crescita e di sviluppo di cui abbiamo assolutamente bisogno. Per questo ci impegniamo a organizzare a settembre o in autunno una conferenza economica che potrà essere alla base del nuovo corso dei socialisti italiani.  
Quinto. Lo spirito con cui abbiamo promosso questa assemblea e con il quale continueremo a lavorare politicamente, com’è stato detto, non è quello della piccola corrente o del piccolo gruppo. Nessuno di noi, ed io per primo, è disposto ad impegnarsi con tutte le sue forze per un obiettivo così limitato. Oggi ci sono le condizioni politiche, economiche e sociali per una reazione forte, per uno scatto di orgoglio e di dignità, per non rassegnarci allo status quo, ma decidere di vivere intensamente. Questa è la “posta in gioco” per i socialisti che vogliono ancora essere tali, è la “posta in gioco” di un nuovo congresso.
Tutti i compagni che sono qui oggi sanno benissimo di non essere alla fine del percorso, ma solo agli inizi. Siamo ai primissimi passi, armati di un’unica convinzione: non basta avere un progetto politico, bisogna costruire le gambe per renderlo comprensivo e vincente, per farlo conoscere e per intercettare adesioni e consensi. Oggi, il problema per noi più importante è avviare un nuovo corso per rendere praticabile e possibile il pensiero dei socialisti italiani.   

 
 

Giovanni Cominelli, D’Alema, Renzi e Pisapia

10 Lug

 

Nello scontro che oppone D’Alema a Renzi, Pisapia ha assunto la posizione simmetrica, ma convergente, rispetto a quella di D’Alema. Il sindaco di Firenze intende candidarsi a segretario del Pd e a premier. D’Alema è contrario, adducendo quale argomento la difesa del governo Letta. Lasci stare la segreteria, per la quale candida Cuperlo, stia in panchina ad aspettare il suo turno per la premiership di governo. Pisapia candida Renzi alla premiership, ma gli consiglia di lasciar perdere la corsa alla segreteria, motivando con il fatto che lui, il sindaco di Milano, non è iscritto al Pd e dunque non avrebbe nulla da dire al riguardo. Si dà tuttavia il caso che Pisapia, all’epoca delle primarie, abbia messo il naso nelle faccende del Pd, schierandosi con Bersani, non con Renzi.

 
Nessuno, d’altronde, lo ha rimproverato per questo. Ma è certo che questa posizione di Pisapia segnala le contraddizioni profonde e le arretratezze della cultura politica di un movimento – convenzionalmente chiamato “arancione” – che stanno alla radice della gestione dei rapporti politici nella Giunta e che depotenziano le ambizioni nazionali dell’esperienza milanese. Capire perché D’Alema abbia assunto quella posizione, leggendo in filigrana le implicazioni profonde e la metafisica, tutt’altro che occulta, aiuterebbe a comprendere meglio e magari a modificare le proprie.
Quanto a D’Alema, il suo problema è, in realtà, la paventata coincidenza delle funzioni di capo di governo e di segretario di partito, che ridimensionerebbe la centralità dei partiti nel sistema politico. La coincidenza di due leadership in unica persona è tipica di tutte le democrazie mature, in Europa e fuori. Democrazie governanti, perché la finalità della rappresentanza partitico – parlamentare non è la difesa sindacale degli interessi rappresentati, ma il governo del Paese, cioè la soluzione dei problemi. La politica è rappresentare per governare. La forma politico-istituzionale in cui s’incarna è il presidenzialismo, il semi-presidenzialismo, il bipolarismo politico, comunque la coincidenza tra leadership di partito e di governo, come nel caso inglese e tedesco.
In Italia funziona un altro sistema, stabilito nella Costituzione del 1948, per impedire, dopo vent’anni di “un uomo solo al comando”, che potesse arrivare un altro tiranno. Gli elettori eleggono i deputati-di-partito con vari sistemi elettorali – prima il proporzionale, poi il Mattarellum, ora il Porcellum – e i deputati votano a maggioranza il Presidente del Consiglio. Il gioco resta saldamente nelle mani di quelle associazioni private di cittadini, che chiamiamo partiti o movimenti. Agli elettori il Porcellum lascia oggi solo la scelta del partito, quella dei deputati è stata sequestrata dai leader di partito. Il governo reale del Paese è governo dei partiti. Tutto ciò è retoricamente venduto come “centralità del Parlamento”.
Si scrive “centralità del Parlamento”, ma si legge “centralità dei partiti”. I quali, poi, delegano a un’Amministrazione statale centralistica, inefficiente e corrotta il governo effettuale, che i cittadini sperimentano ogni giorno con esasperazione crescente. La stabile instabilità dei partiti: ecco perché dal 1948 al 1996 i governi sono durati mediamente nove mesi e perché dal 1996 al 2013 sono durati due anni e mezzo: partiti immortali, governi mortalissimi. La società civile è stata soffocata nel cappio del non-governo. L’effetto principale è stato, lungo gli anni, l’autoorganizzazione degli interessi “particulari” in lobby e corporazioni, l’una contro l’altra armate, e, in questi ultimi anni, la paralisi agonica del sistema politico italiano di fronte alla crisi finanziaria ed economica mondiale.
Ciononostante, D’Alema, filosofo politico del pensiero unico partitista, difende questo sistema politico-istituzionale moribondo. Bisogna capirlo! …. Intere generazioni di piccola borghesia intellettuale urbana hanno fatto un salto sociale enorme, usando l’ascensore dei partiti. Hanno conquistato potere, soldi, visibilità, ottimi stipendi e pensioni, fringe benefits. Hanno fatto e disfatto governi. Hanno persino deciso, nel garage di Botteghe Oscure, che prima toccava a Occhetto e poi a D’Alema stesso succedere a Enrico Berlinguer, mentre si recavano afflitti (?) al suo funerale. Era la rottamazione del 1984, bellezza! Bisogna capirlo! … .
Il passaggio dalla politica come eterna professione autocooptativa a un sistema in cui l’elettore fosse più forte dei partiti e del governo, perché sceglierebbe personalmente deputati e premier, costituirebbe per D’Alema e soci un trauma psicologico peggiore di quello della caduta del comunismo nel 1989. Un premier-segretario piegherebbe il partito ai vincoli della governabilità, riducendo la gamba troppo lunga della rappresentanza partitico – parlamentare e allungando quella troppo corta del governo. Potremmo diventare una democrazia non zoppicante, cioè un Paese d’Europa.
Se queste sono le quinte della recita di D’Alema – Renzi sul palcoscenico pubblico, forse potremmo decidere con maggiore discernimento chi applaudire e chi fischiare.

 

Giovanni Cominelli